Gestazione per altri reato universale? No, grazie
A giugno è ripreso il percorso parlamentare della proposta di legge per rendere la gestazione per altri un reato universale, un azzardo giuridico che anche se diventerà legge non avrà modo di essere applicata. Nel frattempo la discussione pubblica procede come se 40 anni di tecniche di procreazione assistita e di riflessione sul loro impatto sull’idea e la realtà delle famiglie non fossero mai esistiti.
La gestazione per altri è una tecnica biomedica di procreazione assistita che può includere anche la fecondazione eterologa e che richiede di essere normata per quella che è, non sulla base di spinte ideologiche, ma avendo ben chiaro che non sia consentito nessuno sfruttamento né abuso del corpo delle persone coinvolte.
Il 19 giugno 2023 la proposta di legge di Fratelli d’Italia che si propone di rendere reato universale la gestazione per altri ha ripreso il suo percorso parlamentare.
La proposta vuole estendere la punibilità dell’atto, attualmente già vietato dall’articolo 12, comma 6 della legge 40 del 2004, che recita: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro». La proposta si limita ad aggiungere: «Le pene stabilite dal presente comma si applicano anche se il fatto è commesso all’estero». Facile e immediato, sembrerebbe.
Ma, al di là di quello che sarà l’esito della proposta di legge (probabilmente approvata visti i numeri della maggioranza) vediamo che cosa implica questa formula, presentata come la definizione di “reato universale” e quale sarà la sua effettiva applicabilità.
Il principio di territorialità
In nome del principio di territorialità il diritto penale italiano è applicabile solo entro i limiti dei confini dello Stato (art. 6, c. 1, codice penale). Lo stesso codice penale prevede alcune, poche, deroghe: quando all’estero il cittadino italiano compia atti che ledono interessi fondamentali dello Stato (per esempio «falsità in monete e sigilli dello Stato», esplicita il codice), oppure delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato.
Un altro tipo di deroga riguarda la possibilità che una persona commetta atti contrari alla tutela di beni e di valori riconosciuti di interesse per la comunità internazionale, per esempio atti di genocidio o di terrorismo. In quel caso si tratta di un reato commesso all’estero, a danno della comunità internazionale nel suo complesso e chi lo commette può essere perseguito nel proprio Paese. L’articolo 7 del codice penale (art. 7, c. 1, n. 5 c.p.) stabilisce, infatti, che sia «punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero» un reato per il quale «disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana». Dapprima ci vorrebbe una sentenza di condanna della Corte penale internazionale e comunque perseguire qualcuno per infrazioni a convenzioni internazionali a cui la nazione dove vengono compiute non ha aderito sembra difficile da ipotizzare. Esiste, infine, un’ultima deroga al principio di territorialità (prevista dall’articolo 9 del codice penale) e cioè che una persona italiana possa essere perseguita se il fatto commesso all’estero è punito dalla legge italiana con la pena dell’ergastolo o con la reclusione nel minimo non inferiore a tre anni. La pena prevista per la maternità surrogata in Italia, però, arriva al massimo ai due anni di reclusione, a questo punto un giudizio potrebbe aver luogo solo dietro specifica richiesta da parte del ministro della Giustizia (caso per caso).
Insomma, le condizioni per cui la giurisdizione penale italiana possa estendersi anche ai reati commessi all’estero esistono, ma sono limitate, ben definite e tra queste la cosiddetta surrogazione di maternità non sembra poter rientrare.
La doppia incriminazione
E infatti, come si può pretendere di processare e condannare qualcuno per un’azione commessa in un paese dove quell’azione non è reato? Appunto, non si può. Tolte le poche deroghe che peraltro non sono applicabili alla gestazione per altri: «La giurisprudenza, inclusa quella della Cassazione ha più volte stabilito che l’estensione della punibilità di determinati reati commessi all’estero è possibile solo quando c’è la doppia incriminazione, cioè quando quel comportamento è reato anche nel Paese in cui viene commesso dal cittadino italiano». Così si esprimeva già nello scorso aprile la costituzionalista Marilisa D’Amico, ascoltata (si fa per dire) nel corso delle audizioni in commissione Giustizia alla Camera.
La gestazione per altri, attualmente, è legale in diversi Paesi europei ed extraeuropei, seppure con modalità diverse di regolamentazione che riguardano tanto le forme a pagamento, quanto quelle altruiste. Il che ha reso possibile finora ai cittadini italiani ricorrere a questa tecnica di procreazione medicalmente assistita là dove è consentita, nel rispetto della legge locale, nonostante in Italia sia reato. Alimentando, certo, il cosiddetto turismo procreativo e, inevitabilmente, il mercato che lo rende possibile e lo sostiene. Proprio come succedeva, per chi se lo poteva permettere, prima che la legge 194 regolamentasse il ricorso all’aborto. E, così come è stato per quella legge, se si vuole veramente scoraggiare il mercato e le pratiche di sfruttamento e abuso, quello che occorre è normare nella direzione della gravidanza solidale, come prevede per esempio la proposta di legge presentata nel 2021 a prima firma dell’onorevole Guia Termini e che non è nemmeno mai stata discussa in sede parlamentare.
Il vizio di irragionevolezza
La scelta opposta di andare verso il cosiddetto reato universale appartiene a una visione restrittiva, per non dire punitiva, che ha caratterizzato fin dal suo primo impianto la legge 40 e che già ha reso necessario modificare alcuni degli articoli della prima formulazione del 2004, giudicati non costituzionali. E davvero sembra probabile che qualcosa di simile accadrà anche alla frasetta contenuta nella proposta dei parlamentari di Fratelli d’Italia, dal momento che nel mondo la Gpa non è considerata allo stesso modo lesiva di diritti e interessi. Anzi: «La norma della recente proposta di legge – spiega Vitalba Azzollini su Valigia blu – non essendo tesa a tutelare un valore riconosciuto come universale, né prevedendo siano rispettate altre condizioni che rendono la Gpa perseguibile ovunque, in primis che tale pratica sia almeno qualificata come reato nel paese in cui è posta in essere, sembra viziata da irragionevolezza, quindi a rischio di incostituzionalità».
E, a ben vedere, molta irragionevolezza c’è nel pretendere di perseguire «chiunque e in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità, anche se il fatto è commesso all’estero».
Che cosa significa, nella pratica? Che un medico portoghese che lavori in una struttura che rende possibile una gravidanza solidale non possa più mettere piede nel nostro Paese, se non vuole correre il rischio di essere arrestato (e magari condannato a pagare un milione di euro?).
Oppure, poiché sembra che sia stato chiarito che l’intenzione è di punire i soli italiani, che un ginecologo del nostro Paese che lavori all’estero in un centro per la gestazione medicalmente assistita là dove la gravidanza solidale è normata per legge, a sua volta farebbe bene a non rientrare mai più?
Le narrazioni tossiche
Nelle ultime settimane sulla crociata contro “l’utero in affitto” si sono spesi fiumi di inchiostro e la narrazione dominante ha rappresentato quasi solo le realtà che prevedono giovani povere e sfruttate, mamme cui viene strappato a forza il proprio figlio, coppie occidentali (meglio se gay) bionde ricche ed egoiste che “ordinano” il proprio figlio a povere donne incapaci di scegliere e decidere. Le espressioni forti si sprecano: “pratica abominevole”, la “violenza dietro la presunzione di diritti”, “la gravidanza altruistica è un’invenzione”, “la gravidanza solidale mi fa rabbrividire”…
Questa narrazione sembra essere riuscita a coagulare un’opposizione di pancia alla Gpa, saldando le posizioni di gruppi sociali e politici che di solito si contrastano.
Lo avevamo scritto già un anno fa: peccato che le cose non stiano esattamente così e che quello che (malamente purtroppo) occupa la discussione pubblica, anche fatta la tara dello schieramento politico, è ancora una volta il frutto di una grande disinformazione, di una immaturità di cittadinanza nel mondo di oggi. «Tantissimi parlano di questa procedura medica (prevista e rimborsata in alcuni sistemi sanitari nazionali esteri e proposta dai ginecologi dei Paesi nei quali è legale come una delle opzioni di genitorialità per le donne affette da problemi di salute riproduttiva), come di una procedura “contro natura” adducendo proprie credenze o retaggi ideologici-culturali non suffragati da alcuna evidenza scientifica», scrive in un lungo e documentato contributo, Marcello Pili, specialista in cardiologia e presidente dell’associazione nazionale Genitori delle ragazze con Sindrome di Rokitansky, sul magazine della Fondazione Veronesi. Il testo integrale si può leggere qui.
Un’opzione medica sicura
La gestazione per altri appartiene alle tecniche di procreazione assistita e in molti Paesi è da tempo trattata come un’opzione medica sicura ed efficace che consente alle coppie di avere figli biologicamente propri in un contesto giuridico normato da leggi che mirano a tutelare tutti gli attori in campo: la gestante, i genitori intenzionali e i bambini.
La donna disposta a portare avanti la gravidanza spesso è una familiare o un’amica della coppia e dispone di una serie di tutele economiche e giuridiche che le assicurano piena libertà di scelta e ripensamento, compresa la possibilità di abortire se si presentassero rischi per la propria salute e, a seconda delle nazioni, anche di decidere di tenere per sé il figlio, pur geneticamente espressione dei genitori biologici.
L’equivoco sui diritti
Invece assistiamo a un dibattito pubblico che si muove come se i progressi delle tecniche riproduttive e i cambiamenti sociali che oramai percorrono da decenni le società occidentali e che pure sono stati affrontati già dagli anni ’70, non fossero mai avvenuti. «Chi è convinto che i figli si possano ottenere solo per via naturale continua a sostenere che “madre è solo colei che partorisce”» scrive ancora Pili. Da qui l’uso dell’espressione “maternità surrogata” che evoca per l’appunto un’idea storica di “madre” in luogo di “gestazione per altri” (e pensare che proprio una delle nascite più famose della storia, quella di Gesù, non si riferisce certo a una “famiglia naturale”).
Altrettanto si afferma che i bambini subirebbero traumi duraturi nell’essere separati dalla persona che ha condotto la gravidanza o nello scoprire di essere venuti al mondo tramite una gestazione solidale, affermazioni che tuttavia non hanno fondamento scientifico. «Ciò che può influire negativamente su questi bambini è invece quel processo di discriminazione sociale e rifiuto che si esprime sotto forma di commenti negativi, bullismo, violenza fisica e mancanza di tutela legale» ricorda, per esempio l’Associazione culturale pediatri in un suo recente documento.
Chi si assume la responsabilità di dire ad altre persone che non hanno “diritto” a essere genitori, propone spesso come soluzione alternativa il ricorso all’adozione. E forse questa proposta, apparentemente di buon senso, è tra quelle più crudeli e lontane da un approccio che tiene davvero al bene dei bambini e delle bambine. Non solo per le note difficoltà e lungaggini burocratiche e per la limitata disponibilità di giovani persone adottabili, ma perché la scelta di adottare dovrebbe avere come primo fine quello di dare una famiglia a chi non ce l’ha. L’interesse etico prioritario dovrebbe essere quello di rimediare all’impossibilità di crescere con i propri genitori e non una soluzione di riserva per chi non ha modo di avere una propria discendenza biologica. E sarebbe paradossale che proprio chi si fa una bandiera dell’interesse superiore dei bambini perda di vista questo aspetto cruciale del benessere dei più piccoli, se non avessimo già avuto piena dimostrazione di quanto poco nei fatti questo benessere sia al centro delle scelte politiche, dopo le misure prese per impedire il recepimento del Regolamento UE sulla filiazione e la vergogna dei bambini lasciati in carcere.
No alla mercificazione del corpo, sì alla gravidanza solidale
Insomma, la gestazione per altri è una tecnica biomedica di procreazione assistita che può includere anche la fecondazione eterologa e che richiede di essere normata per quella che è, non sulla base di spinte ideologiche, ma avendo ben chiaro che non sia consentito nessuno sfruttamento né abuso del corpo delle persone coinvolte.
La strada del reato universale non è realistica, né praticabile, anzi come sempre avviene con le leggi restrittive in un Paese, apre al mercato parallelo e illegale dove il rischio di abuso e sfruttamento è certamente più ampio.
Più in generale, non deve essere consentita nessuna forma di speculazione e commercializzazione di qualsiasi materiale biologico umano. Ma bisogna essere consapevoli che questo implica un trasferimento di costi dal singolo al pubblico. Siamo contrari alla compravendita del sangue o degli organi, ma sappiamo che il sistema sangue e il sistema trapianti assicurano la filiera di raccolta, conservazione, sicurezza e distribuzione di questi materiali biologici a spese del servizio sanitario nazionale. Questo deve essere lo statuto di riferimento anche per la Gpa.
Recentemente le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono passate a carico del Servizio sanitario nazionale (contemplate tra i Livelli essenziali di assistenza in tutto il territorio italiano, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket determinato dalle singole Regioni) e se davvero si vuole eliminare dallo scenario della gestazione per altri l’aspetto del compenso, la soluzione è quella di riconoscerle la condizione delle altre tecniche.
Essere contro (come siamo) lo sfruttamento e l’abuso del corpo in tutte le sue forme e per i generi umani, così come contro la mercificazione di organi o materiale umano non porta con sé essere contrari alla gravidanza per altri solidale. Una gravidanza accettata, condivisa non su base contrattuale, ma in virtù di un accordo tra persone che si conoscono e si riconoscono nei sentimenti e nei valori, nel rispetto reciproco e dei nati.