Trent’anni di Zadig: condividere con tutti lo stile della ragione
Zadig ha compiuto trent’anni. Li abbiamo festeggiati all’Università statale di Milano, ascoltando alcune letture di Voltaire e le belle canzoni di due giovani musicisti. E dialogando su come la guida illuminata della ragione può essere preziosa di fronte al complottismo, all’incertezza, alle controversie: il pensiero razionale è una risorsa fondamentale, che è importante mettere a disposizione della società nella misura maggiore possibile.
Nell’ambiente raccolto della Biblioteca di Filosofia dell’Università statale di Milano, con nostro grande piacere gremita di amici, abbiamo festeggiato il 23 gennaio scorso il compleanno di Zadig: trent’anni, in cui, come dice Voltaire nel romanzo da cui l’agenzia ha preso il nome, “ci siamo accontentati dello stile della ragione”, tenendoci alla larga da mode, orpelli e chimere.
La lettura di alcuni brani tratti dal romanzo di Voltaire ha punteggiato l’incontro (grazie all’attrice Martina Testa per la bella interpretazione), per rinfrescarci la memoria e soprattutto consentirci di gustare nuovamente la prosa del grande filosofo illuminista, che si dimostra in molti casi quanto mai attuale: basta pensare alla scanzonata critica rivolta agli pseudorimedi medici (come un basilisco cotto nell’acqua di rose) proposti dai sedicenti curatori che popolano il romanzo, e confrontarli alle centinaia di prodotti poco meno bizzarri che affollano oggi le pubblicità e perfino gli scaffali delle farmacie.
Come ha ricordato Paolo Spinicci, professore ordinario di Filosofia teoretica a Unimi, in questo caso nella veste di gentile ospite: il desiderio di mettere lo stile della ragione e della riflessione razionale a disposizione di tutta la società accomuna l’operare di Zadig a quello del dipartimento di Filosofia, che lo sta dimostrando tra l’altro con il progetto aperto a tutti del Museo della Filosofia, che ospiterà dal 5 febbraio la mostra Complottismo, Fake News e Altre Trappole Mentali.
Dal personaggio di Zadig al nome: tre aspetti particolari
Pietro Dri, presidente di Zadig, ha ricordato tre aspetti speciali che all’agenzia Zadig è molto caro riprendere dal protagonista dell’omonimo romanzo di Voltaire.
Innanzitutto, non c’è quasi bisogno di ripeterlo, la scelta di seguire lo stile della ragione; e questo, per Zadig, ha sempre significato e significa lavorare nel segno dell’indipendenza intellettuale (e non solo) e del rigore scientifico, su tutti i fronti: nell’informazione, sempre evidence based, ovvero fondata sulle prove, e nella comunicazione; nella formazione e nell’editoria.
Un secondo aspetto è quello della serendipità, termine coniato da Horace Walpole per indicare la capacità di arrivare a una scoperta attraverso l’analisi di indizi anche casuali e apparentemente insignificanti, collegati tra loro e interpretati grazie allo spirito di osservazione e all’intelligenza. Zadig scopre, per dirla con Voltaire, “mille differenze là dove gli altri uomini vedevano solo uniformità”. Nel romanzo, proprio grazie a questa abilità Zadig ricostruisce l’aspetto della cagnetta della regina e del cavallo del re, che erano andati perduti, solo a partire da esili tracce lasciate dai due animali: leggeri solchi irregolari sulla sabbia, foglie cadute dai rami lungo un sentiero, segni recenti sui sassi. In casi come questi opera l’abduzione, una capacità, quella di trarre conclusioni probabili da indizi reali, che è importante anche nel campo della medicina, perché guida in fin dei conti anche l’operato dei medici, che arrivano a una diagnosi a partire da una serie di sintomi.
Un terzo aspetto è quello che si può rilevare da un’osservazione di Calvino: «Ai miei occhi d’incallito morfologista Zadig è “antieroe” in quanto pur essendo (o proprio perché è) il primo (forse) eroe intellettuale si riallaccia a una forma di letteratura popolare: i cicli di storielle del personaggio astuto, che con l’ingegno e lo spirito se la cava in una serie di situazioni difficili…». Anche questo concetto di “antieroe” si attaglia perfettamente al basso profilo, alla scelta di voler fare senza bisogno di apparire, come è stato nei primi trent’anni di storia di Zadig.
Da che cosa nasce il complottismo?
Durante l’incontro, tre riflessioni sulla funzione sociale e politica dell’indagine filosofica e del pensiero scientifico e razionale hanno riguardato tre fenomeni particolari: il complottismo, l’incertezza e le controversie.
Nel dialogo sul complottismo, tra Anna Ichino, ricercatrice del dipartimento di Filosofia della Statale e Luca Carra, di Zadig, sono state ripercorse le origini di questo fenomeno, che non è liquidabile semplicemente come frutto di psicopatologie o ignoranza. Anna Ichino ha sottolineato come gli studi sociali al contrario mostrino che alla radice del complottismo ci sia un atteggiamento di profonda sfiducia, che nasce dalla percezione di subire ingiustizie e vivere nella disuguaglianza. Questa diffidenza impedisce di credere alle informazioni e spiegazioni diffuse dalle fonti ufficiali: ne deriva un vuoto, difficile da tollerare, come sempre è difficile accettare l’assenza di spiegazioni, che lascia spazio alle teorie complottiste. Queste di fatto rispondono ad alcuni bisogni psicologici, come quello di trovare una causa, un colpevole, di sentirsi parte di un gruppo, di sentirsi maggiormente informati degli altri. Come ha notato Luca Carra, le teorie del complotto possono essere rinforzate da una concezione per così dire “epica” della scienza, una scienza che si irrigidisce, rifiuta l’incertezza e il dubbio, provocando un irrigidimento uguale e opposto. Un primo passo, per affrontare la diffusione delle teorie del complotto, è non considerare i complottisti “altro da noi”, per conservare la possibilità di un dialogo.
Come comunicare l’incertezza
Nel dialogo sull’incertezza, e in particolare di come comunicarla, Ilaria Ampollini, ricercatrice di Storia della Scienza a Unimi, ha raccontato il caso della cometa di Lalande, celebre episodio che nel 1773 vide Parigi scossa dal timore che una cometa provocasse un cataclisma disastroso. All’origine del clamore il Mémoire sur les comètes dell’astronomo che aveva sostenuto la “non impossibilità” fisica e matematica di uno scontro o incontro tra Terra e comete. Lalande avrebbe dovuto presentare un saggio dedicato alle comete a una seduta pubblica dell’Académie des Sciences, nell’aprile del 1773. Il programma del giorno era già stato annunciato, ma per questioni di tempo il suo intervento, l’ultimo previsto, venne cancellato. Lalande aveva però anticipato i contenuti del suo saggio ad alcuni conoscenti: in particolare, si sapeva che affrontava la questione degli impatti tra le comete e la Terra. Così, quando l’Académie ne annullò la lettura, si diffuse il sospetto che il vero motivo fosse da ricercare in una precisa volontà di censura, che si volesse cioè nascondere la catastrofe imminente. Si tratta di un episodio che porta con sé tematiche fondamentali per la storia del pensiero scientifico e per la storia della comunicazione della scienza. Sulle gazzette del tempo la paura venne etichettata come paura popolare, superstizione, diceria. In realtà era la reazione del pubblico a un nuovo concetto, quello di previsione e probabilità: nel linguaggio ordinario in effetti “non impossibile” significa “probabile”. Negli Atti dell’Académie des Sciences, così come in altre fonti, emerge una fondamentale riflessione sulle modalità con cui sarebbe stato meglio comunicare il rischio. Lalande aveva parlato di una non impossibilità di uno scontro o avvicinamento tra le comete e la Terra: ma il valore probabilistico era così basso che, concludevano i consoci dell’istituzione parigina, meglio sarebbe stato dire, nel linguaggio ordinario, che tale evento era impossibile.
La difficoltà del comunicare notizie scientifiche piene di incertezza è stata sottolineata anche da Silvia Bencivelli, giornalista scientifica, che ha mostrato una serie di motivi per cui la comunicazione della scienza difficilmente riesce a trasmettere il giusto equilibrio tra quanto è certo e quanto è una supposizione. Incidono anche fattori come la comunicazione da parte dei ricercatori stessi attraverso i social media, la disponibilità pubblica degli articoli ancora prima delle peer review, la tendenza a catturare l’attenzione utilizzando una terminologia sempre più emozionale, anche per i risultati scientifici. Bencivelli ha osservato che questo oggi parte dagli articoli scientifici stessi, che sempre più spesso non utilizzano termini che trasmettano dubbio o provvisorietà dei risultati (“could”, “possibly”), ma termini che colpiscono (“groundbreaking”, “unprecedented”). A questo si somma il passaggio degli uffici stampa dei centri di ricerca, che per ovvi motivi tendono ad accentuare ulteriormente questa linea, che rischia di essere successivamente ingigantita dai titoli sui media: e di passo in passo, arrivare da un’ipotesi a una certezza, specie se preoccupante, è un rischio reale.
Ideologie e temi controversi
Come fa osservare Eva Benelli, giornalista di Zadig, il principale ostacolo nell’affrontare razionalmente questioni controverse, spesso eticamente controverse, è l’approccio da posizioni ideologiche, strumentalizzazioni politiche, scarsa conoscenza di metodo. Un caso emblematico è quello della gestazione per altre persone. Una espressione come “utero in affitto” è denigratoria, ma non scorretta, mentre “maternità surrogata”, “madre surrogata” è scorretto, perché non si tratta di una maternità, ma di una gestazione. C’è differenza: Eva Benelli fa notare che non basta restare incinte per parlare di maternità (e questa è una conquista femminile recente): la maternità, come genitorialità, implica una scelta, una volontà, mentre quello che si rende disponibile è un percorso di gestazione. Su questo si innesta la discussione di legittimità della componente economica. Rimuovere le cause che spingono una donna povera a vendere la propria capacità gestazionale è un dovere dello Stato e delle società. Ma anche normare in modo corretto, per stabilire a chi spettano le decisioni cruciali: interrompere la gravidanza, tenersi il figlio… e queste possono spettare solo alla donna che conduce la gestazione, perché per l’appunto un figlio non si “acquista”. Il contrario di quello che avviene negli Usa dove la salute è governata dal mercato.
Nel ragionare sulle controversie Benelli affronta anche il discorso pubblico sulle guerre, ragionando su uno dei tanti appelli che sono stati fatti nel mondo, anche in Italia, a boicottare le università israeliane. Cioè qualcosa che interrompe il dialogo proprio quando invece il dialogo servirebbe più che mai.
Francesca Minerva, professoressa associata di Filosofia Morale a Unimi, ha affrontato invece il tema dell’ondata di censura, anche nella forma di autocensura, che da una decina di anni si è abbattuta nell’ambito di chi si occupa di temi controversi. Al punto da spingere molti ricercatori a non scriverne più, per evitare conseguenze spiacevoli, che possono danneggiare anche la carriera. Una causa ne sono stati i social media, specialmente quelli che prevedono contenuti molto brevi: la necessità di sintesi porta a ridurre eccessivamente la complessità dei discorsi e di conseguenza a estremizzare e decontestualizzare i contenuti, con conseguenti polemiche, che a volte hanno un’ampia eco nell’opinione pubblica, fino ad arrivare a minacce di morte agli scienziati, ma anche ad espulsioni da parte degli enti in cui lavorano.
Minerva sottolinea la necessità di continuare a occuparsi di temi controversi, non solo perché è importante continuare a cercare di avvicinarsi e possibilmente trovare la verità, ma anche perché sopprimere i temi controversi e farli scomparire dal dibattito pubblico li relega in ambiti chiusi, dove non c’è contraddittorio: proprio un terreno fertile per il fiorire di teorie del complotto.
Nella discussione su temi così densi, i brani musicali eseguiti da Valentina Benaglia, cantante e chitarrista, e Giuseppe Nucera, sassofonista, del gruppo La Malaleche, hanno portato due pause cariche di emozione.